Le classi terze hanno partecipato al concorso interno dedicato alla "Giornata della Memoria", ricorrenza durante la quale vengono ricordati 15 milioni di vittime dell' Olocausto rinchiuse e uccise nei campi di sterminio nazisti prima e durante la Seconda Guerra mondiale.

Dopo aver visto il film "Swing Kids" hanno scritto una riflessione sui temi in esso presenti  e i testi migliori sono stati selezionati da un'apposita commissione interna e premiati.

Elenco dei vincitori

  1. Hansanaj Prishila 3A
  2. Broccoli Valerio 3 B
  3. Piuma Maia 3G
  4. Devid Shkreli 3H
  5. Conti Fabiana 3C
  6. Canghiari Carolina 3I
  7. Bianca Pasini 3E
  8. Semprini Matteo 3D
  9. Sardonini Lisa 3A
  10. Caruso Caterina 3B
  11. Zekhi Samantha 3I
  12. Petrucci Zoe 3G 

 

Elaborato vincitore

Prishila Hasanaj, 3°A, 2022

 

“Non vedete che succede? Avete paura di guardarmi!”

-Arvid



Non vedevano.

La paura era più forte della verità.

La verità era solo una luce troppo evidente nell’oscurità della notte, nell’oscurità che divora inesorabile, fino a farti dimenticare dell’alba.

Solo qualcuno aveva il coraggio di osservarne lo sfavillare, anche se il vento e la tempesta infuriavano.

Amburgo 1939, il nazismo incombe tra le strade, soffocandole di doloroso veleno, il quale è scambiato come linfa vitale.

La Seconda Guerra Mondiale bussa incessante alle porte, rimbombando nelle pareti delle case.

Tra la popolazione, silenziosi sciamano tre giovani ragazzi.

Se il rumore della guerra perfora i timpani togliendo il fiato, loro cercano di mascherarlo con il suono delle note di Swing che infermabili saettano dalle radio, percorrendo il corpo come una scossa di elettricità, scuotendoli dal torpore di una vita che non accettano.

Vestiti britannici, capelli lunghi.

 Li  avresti riconosciuti subito mentre camminavi, mentre strascicavi i piedi  in una folla che brulicava di tensione, sarebbe bastato alzare lo sguardo intimorito dai tuoi piedi e ne saresti stato subito catturato.

Avresti sentito la loro energia, l’avresti percepita percorrere ogni centimetro di pelle provocandoti pelle d’oca.

Ne saresti rimasto travolto da come i loro capelli si muovevano ribelli nel vento, come un mantello di protesta che li seguiva ad ogni passo.

Una meraviglia, sì.

Ma anche una condanna.

Chi non si conforma è annegato nel sangue, zittito da mani che feroci tappano i pensieri.

Questo lo sanno bene loro: Peter, Arvid e Thomas.

Sanno bene che non devono farsi notare, che devono viaggiare nel buio della notte come un eroe mascherato.

“Nazisti di giorno, Swing Kids di notte.”

Dalla pazzia, dalla brutalità, dalla violenza della vita che minaccia di trascinarli nel suo abisso, loro si rifugiano nelle sale da ballo, rintanandosi al club “The Bismarck", scatenandosi al ritmo energetico dello swing, agitando corpo, braccia e cuore in una sinfonia che solo loro conoscono.

I battiti accelerati, la fronte imperlata di sudore, giacche e vestiti che fluttuano nell’atmosfera ebbra di felicità.

Per Peter, Arvid e Thomas è acqua che bagna le labbra dopo una camminata tra le dune desertiche.

Peter si fionda nella musica, impulsivo, istintivo e precipitoso, ma mosso da una passione immane.

E’ il dipinto di un pittore che intende catturare l’essenza della ribellione su una tela di un nero spietato.

Uno schizzo potente che la segna, un sorriso che la squarcia, una voce che la infuoca.

Costantemente costretto ad affrontare il caos della vita.

Padre ucciso, privato della vita, derubato dalla libertà per le sue idee, come un girasole in un campo di spine che cerca di sporgersi per cogliere il calore dei raggi solari.

Troppo diverso.

Troppo pericoloso.

Ogni giorno Peter trascina quel dolore, che come un masso sulla schiena gli schiaccia il diaframma estorcendogli ogni rivolo di respiro.

E’ questo il suo caos.

Alcuno persone sopravvivono al caos ed è così che crescono.

E alcune persone ne beneficiano , perché il caos è tutto quello che conoscono.

Ed è quello che lui fa.

Ne coglie la potenza, la forza, e con quel caos trova il coraggio di guardare negli occhi un mondo che pretenda li tenga bassi, di alzare la testa in un mondo che pretende si inchini.

Ma il mondo lo strozza, lo soffoca con lunghi graffi di una belva, tagliando la sua pelle come un segnalibro di cui ricordarsi.

E se Peter inizia a ballare, anche Thomas lo segue, gli occhi che brillano di pura magia quando incontrano quelli dell’amico, scuotendo il capo a ritmo di musica, un’aureola di capelli che lo circonda, il viso che freme al desiderio di ballare.

Gli occhi sicuri che tagliano come lame, un sorriso ironico che incurva leggermente le labbra come una sfida a chiunque osi osservarlo.

Oh, ma non farti ingannare.

E’ più fragile di quello che sembri.

Dietro a quella sfacciataggine trema timoroso, con un cuore in mano che aspetta solo di essere amato, con una mente che prega per un appiglio per salvarsi in un mondo di incertezze.

E come il mare lo tiene in vita, il mare può annegarlo.

Alle mosse di ballo dei due che frenetici si esibiscono, accompagnati da risate cristalline, due occhi profondi li seguono, strimpellano con dita tormentate, la fronte leggermente corrugata, il piede che dolorante cerca di seguirne il ritmo battendo a tempo, come un cuore che sbatte sulla gabbia toracica che lo imprigiona.

Arvid, assistendo ai due che sembrano dominare la sala, freme  trasportato dal suono della  musica.

Una corda della chitarra che vibra, i piedi della folla che ne vengono trainati.

E lui vorrebbe solo farne parte, poter ruotare agilmente come una libellula che si libra sulle acque di uno stagno, incrociare i passi come un’abile tessitrice, battere le mani come un tamburo; ma si limita ad assistere, la gamba affetta da una menomazione che lo fa zoppicare, le labbra leggermente increspate allo spettacolo della vita.

Rinchiuso costantemente in camera, lascia che la sua mente viaggi nell’onestà dei brani che colleziona come premi brillanti in una vetrina.

Hanno infranto le parti sbagliate di lui.

Gli hanno spezzato le ali e dimenticato che ha artigli.

Nonostante questi tre ragazzi non abbiano niente in comune, appartengano a mondi diversi, a universi in collisione, la passione per lo swing cuce le distanze con agili mani, riunisce punti di una ferita ancora aperta, curandosi a vicenda in una società che li uccide.

Per loro lo swing è un grido che insieme forma un coro, il sottofondo della ribellione.

E questo sottofondo accompagna le loro vite, una vita che soffoca, che manipola, che massacra le idee.

Quelle diverse.

Se cercherai di riemergere dalle tenebre, ti spingeranno di nuovo giù, annegandoti nella loro stessa oscurità.

La madre di Peter non può permetterselo, non può lasciare che un frammento della sua anima le venga strappato di nuovo.

Il terrore la perseguita, lo vedi nei suoi occhi che cercano di sorridere in un abisso di pianti che li annegano, quando amorevole guarda di sottecchi i suoi figli, sperando che la vita non sia troppo crudele con loro.

Per la loro sicurezza, per la loro salvezza, permette a un uomo della Gestapo di entrare nella sua vita, come un serpente che sibila minacciando di scioglierti con il suo veleno.

Vita o morte?

La vita che ti ucciderà ogni secondo, o la morte dell’amore che ti tiene in vita?

Allora lascia, disperata, che la Gestapo con espressione piena di odio costringa Peter ad arruolarsi nella Gioventù Hitleriana, così che la sua coscienza venga buttata tra le cataste degli altri, pronte a essere infuocate.

Peter non lo accetta, grida pieno d’ira, non vuole vivere quell’incubo, quell’incubo di torturare, di martoriare gente innocente, di non potersi più svegliare.

Ma lo sguardo straziato, tormentato di sua madre lo porta con costernazione ad aderire.

Se la vita si presenta come precipizio a cui aggrapparsi stremato, Thomas lo aiuta a risalire, ad arrampicarsi con le nocche sfregiate, arruolandosi anche lui nella Gioventù Hitleriana.

Ma non pensare che la sicurezza con cui pronuncia parole sia vera, non pensare che il fuoco non possa bruciarlo, non pensare che l’oceano non possa annegarlo.

La sua lingua e la sua bocca iniziano a pronunciare parole atroci contro ebrei, che perforano e trafiggono come spade in una guerra sanguinaria.

Quella che i tre ragazzi vivono è una guerra, ma ogni guerra ha due lati, due scelte, ogni persona ha due coscienze che come animali lottano tra loro, finché non ne nutri uno.

Thomas ha solo perso in una battaglia di cui non sapeva neanche di far parte.

Come fai a sconfiggere un mostro senza diventarne uno?

I tre amici cominciano ad allontanarsi, lentamente, inesorabilmente, e quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi.

 

“Non sembravi nemmeno tu.

Non crederai veramente a tutta quella propaganda!”

-Peter a Thomas

 

Arvid è picchiato dai nazisti, massacrato, con due dita rotte, annaspa, cammina su vetri che lo segnano dolorosamente, chino sotto mani che lo marchiano fino a cadere stremato a terra, il viso rigato di lacrime rivolto verso il cielo, sperando che tutto finisca.

Che la fine sia vicina.

Ma è troppo lontana, quel traguardo non riesce a sfiorare le sue dita.

Allora lo raggiunge.

Gli occhi lucidi, un pezzo di disco in una mano, uno di quelli che metteva quando si sentiva solo, quando erano rimasti solo lui e la musica, quando sembrava le note potessero viaggiare leggiadre, ora gli farà compagnia nel tragitto verso la morte; e nell’altra mano la vita.

Ma forse vita e morte non sono così diverse.

Alcune volte è la vita a consegnarti tra le braccia della morte e alcune volte è il ricordo della morte a farti abbracciare la vita.

Arvid si suicida, pone fine a tutto, i segni della sua lotta lo massacravano internamente, consumandolo ogni giorno, minacciando di trasformarlo in un assassino come tutti, ma le sue frasi di rivolta aleggeranno nell’aria, come una storia che verrà raccontata a un orecchio.

Come una storia che griderà quello che non riusciamo a sussurrare, quello che conserviamo timorosi di pronunciare.

 

“L’hanno ammazzato [..] si è ucciso perché non voleva diventare un assassino”

-Peter

Peter vede la bara del suo amico, di una parte di sé, seppellirsi, essere ricoperto da qualcosa che neanche le più amare lacrime riusciranno a dimenticare.

Mentre Thomas guarda impassibile, l’indifferenza che avvelena la sua mente, l’odio iniettato nel suo corpo che invade il sangue, riempie la sua bocca e chiude i suoi pugni.

Denuncia  suo padre, l’uomo che l’ha cresciuto, per aver insultato Hitler, annebbiando la sua mente, brancolando nel buio che crede luce di una via d’uscita.

Mentre Peter consegna per un libraio quelli che scopre essere falsi certificati di nascita, semplici fogli, pezzi di carta che rappresentano la vita, la via di salvezza da un mondo disumano. 

Le vite dei due si allontanano come faglie di un terremoto sul terreno, e il nazismo diventa come uno tsunami che porta distruzione ovunque passi.

E questo tsunami è consegnato in pacchi rilegati, assegnati a Peter per la spedizione.

Ma le grida, le urla, i pianti di disperazione che incombono alla consegna, che sembrano infrangere le mura con le loro lacrime, insospettiscono Peter.

Ceneri.

Ceneri sono quelle che trova.

Ceneri di una vita, di un passato, di qualcuno che probabilmente sorrideva, che al mattino svegliava i propri figli, che al ritorno da lavoro abbracciava la sua famiglia in un caloroso abbraccio, che ora è cancellato, ucciso.

Peter inorridisce, urla di dolore, urla che trasmettono ricordi, che parlano di struggimento, che raccontano di qualcosa che noi non potremmo comprendere veramente.

La disperazione lo conduce,,verso  Helga, un’ affabile donna a cui consegnava libri.

Helga lo ascolta, lo consola, diffonde un amore, un’umanità, ormai considerata persa, dispersa tra l’orrore e il sangue.

Con risolutezza gli legge una lettera del padre, con voce flebile ma sicura, , come se ogni parola ormai appartenesse a lei e niente avrebbe potuto estorcergielo, neanche lo sguardo della morte.

 

Dobbiamo tutti assumerci le responsabilità di quanto succede da noi.

Se noi che abbiamo ancora voce non la leviamo decisi per denunciare il modo in cui vengono trattati i nostri simili, avremo contribuito alla loro condanna.

-lettera del padre di Peter

E Peter, mosso da quel messaggio di coraggio, decide di levare la sua voce, di farla sentire, di farla percorrere in ogni strada, ogni vicolo muovendosi a ritmo di swing al Café Bismarck.

Un’ultima volta.

Come ai vecchi tempi.

Anche se là fuori la paura regna, anche se il panico comanda.

Un’ultima volta.

Come un’esibizione che aspettava da tempo.

Anche se i nazisti sfondano le porte e invadono la sala, i suoi occhi non smettono di brillare, ma rilucono ancora più forti, come fanno le stelle quando il cielo è buio.

Le due faglie si incontrano di nuovo, i vecchi amici si rivedono, gli occhi di Peter e Thomas si incrociano come vicoli di una strada.

Nonostante i pugni di Thomas che sfondano il corpo di Peter, lui sembra lottare, sembra combattere per rivedere il viso dell’amico investito dalla coscienza.

La verità sembra investire Thomas, sembra riscuoterlo, sembra prendergli la faccia e intimargli di guardare il viso sanguinante dell’amico, di studiare le sue nocche rosse e rispondergli se questo è un uomo.

Thomas gli dice di andarsene, di fuggire, di sparire, ma il suo viso sembra bruciare di una fiamma ardente, gli occhi incenerire la vita che voleva annientarlo.

Rimane.

Rimane nonostante tutto, nonostante le mani feroci dei nazisti che lo afferrano arrestandolo, nonostante le lacrime che ricoprono la vista, nonostante il terrore del dopo.

Rimane.

 

“Swing Heil! Swing Heil!”

Anche se il corpo trema, anche se il cuore vorrebbe fuggire, combattono.

Sfidano gli occhi dell’ostilità, pronunciando semplici parole.

Comparami il significato di parole e di massacri, e niente sarà più temuto di una frase.

Un taglio segna, graffia, tortura la pelle.

Una parola viaggia, sciama dove nessuno riuscirebbe a infilarsi, colpisce come una pallottola non saprebbe fare.

Tre ragazzi.

Tre ragazzi sono riusciti a lottare, a scontrarsi con mani che afferrano, strozzano e sopprimono.

Nelle favole si parla di bene e male, nella storia si parla di sfumature indistinte, che si mischiano invisibili in passati e scelte, in grida e sussurri.

Buoni o cattivi?
Vittime o uccisori?

Vittime che sporgono una mano in cerca di qualcuno che la afferri o carnefici che lasciano quella richiesta di aiuto sprofondi tra il sangue?

Una scelta.

Con una scelta puoi ferire o guarire, curare cicatrici sanguinanti, salvare vite o perdere la tua.

Sceglierai di ribellarti o continuare a osservare?

E’ questa la domanda che dovremmo farci ogni giorno, ogni mattina, quando l’alba incombe, ogni notte, quando le stelle iniziano a comparire.

Ti ribellerai e porrai fine a questo omicidio?
O continuerai a contemplare indifferente gente innocente che  ti porge una mano in cerca di aiuto?
Replicherai alle ingiustizie o continuerai a guardare con disgusto chi è diverso?

Ebreo, zingaro, omossessuale.

E’ questo che vedi?
Sono queste le targhette che vedi quando punti il tuo mirino per poi impassibile sparare?
Queste sono le scelte.

Per me è questa la giornata della memoria.

Ricordare di scegliere.

Scelte che formano il futuro, che plasmano la vita, che determinano chi siamo.

Che ci permettono di vedere cosa succede, cosa si nasconde dietro quella cortina di nebbia che ci oscura la vista.

Che ci permette di vedere la disumanità che ci avvelenava, che ci portava a condannare a morte persone, che ci portava all’indifferenza.

L’indifferenza è un arma che non conosci, finché non ti colpisce.

Finché non ti perfora con la sua crudeltà, con occhi che insensibili ti osservano.

Io la conosco.

So come brucia il cuore per ridurlo a cenere.

L’ho imparato da un mondo che ogni giorno tenta di portarsi di me via qualcosa.

Di portarsi via le mie proteste, le mie frasi, il mio pensiero sotto sguardi che non agiscono, che mi colpevolizzano guardando solo una carta d’identità.

Un pezzo di carta non dice chi sono, non custodisce un passato, non racconta il mio sorriso, non dimostra un mio pianto.

Datemi della colpevole, perché una colpa ce l’ho: essere diversa.

 

“Come farei a giudicare senza ricordare?" mi sono chiesta mentre le immagini  del film scorrevano, “Come farei a parlare se la mia mente precipitasse nel vuoto?”.

Cancellare.

Uno degli obiettivi principali dell’antisemitismo.

Cancellare ogni traccia, ogni macchia, ogni grido che tenta di segnare la storia.

Se la nostra memoria non ripercorresse questi momenti, quel dolore, cosa saremmo noi?
Cosa sarebbe la nostra voce?

Solo aria che si mischia al vento di una tempesta.

Parliamo, parliamo in fiumi di parole di vittime, di innocenti, parole che scorrono senza sfociare.

E i carnefici?
E gli assassini?
Cosa ci rende tanto sicuri che la storia a , e gli  errori non si ripetano, che sangue non scorra?
Cosa ci rende tanto sicuri che un giorno non diventeremo bestie che selvagge cercano carne da lacerare sotto le unghie?

Potrebbe succedere di nuovo.

Sta a noi solcare con la mente l’impronta che la storia ha lasciato sul terreno del mondo.

Sta a noi decidere di volare anche se il cielo ci minaccia.

Durante il film mi sono chiesta: “Io avrei avuto il coraggio?”
Avrei avuto il coraggio di gridare, strillare a pieni polmoni, di scegliere il giusto anche quando lo sbagliato sembra il posto più sicuro?
Di fissare negli occhi la paura anche se mi divora dentro?
Di guardare la verità anche se preferirei distogliere lo sguardo?

 

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